Una famiglia Padovana
di fotografi
Menotti Danesin
(1894-1976)
Divenne un “maestro” per diversi fotografi che hanno operato a Padova. Claudio Toma un nome per tutti che si è sempre considerato il suo discepolo. Fu Menotti Danesin a regalare all’allievo e collaboratore Toma la propria macchina fotografica inglese del 1920, oggi cimelio da collezione che sfoggia nelle vetrine del laboratorio ubicato in un’ala dell’antico palazzo vescovile. Dal 1977 il laboratorio continua, nella stessa sede, sul solco della tradizione familiare con il figlio Fiorenzo, che dal padre ha appreso i segreti e le tecniche della fotografia.
[“(..) La sua passione per la fotografia che ha origini lontane, diventa mestiere dopo aver frequentato il laboratorio del maestro Menotti Danesin specializzato in riproduzioni d’arte. Usava metodi antichi dice ora, ma era molto bravo, oltre che un amico. Un giorno il maestro lo vide fotografare un quadro servendosi di un esposimetro. Gli domandò cosa fosse quell’arnese e con aria di disapprovazione gli disse che “l’esposimetro ” doveva averlo nella testa (…)” In Padova e il suo territorio n.95 febbraio 2002. - Il Gazzettino 02.09.2001 “Toma, Padova in camera oscura” - Il Mattino 03.05.1998 “In un clic volti e storie patavine”.]

Menotti Danesin (primo a destra) con il famoso critico d'arte Giuseppe Fiocco,
Durante il secondo periodo bellico fu sempre Menotti a portare al sicuro sui Colli Euganei, ai frati del Convento di Praglia, su preghiera del Magnifico Rettore Carlo Anti, l’intero archivio fotografico dell’Ateneo che egli stesso aveva pazientemente allestito
[vedi nota biografica in “La memoria e l’oblio” pg.93 (c.s.)]
In quel lungo periodo, con le incursioni aeree sulla città, la figlia con il marito erano sfollati nei vicini Colli Euganei mentre lui, per lavoro, era rimasto a Padova ospite in casa del fratello Paolo. Il 12 ottobre del 1944, cercando di allontanarsi dall’abitato durante un allarme aereo, mentre sostava al ciglio della strada verso Battaglia Terme (allora molto stretta), fu investito dal rimorchio di un autocarro tedesco. Riportò la duplice frattura alla tibia e al perone della gamba sinistra. In quel frangente, dopo il ricovero immediato all’ospedale non era reperibile il gesso per l’ingessatura, glielo fornì lo scultore Amleto Sartori, che lo adoperava come base per le sue opere. Ma, forse l’impasto non aveva la giusta densità perché, dopo quella prima ingessatura e nonostante le cure e i vari ricoveri, (fu ingessato per ben sei volte e immobilizzato da una trazione di sette chili), ebbe un lungo e sofferto anno di immobilità, complicato da una sopraggiunta rosolia.
A fine guerra, lentamente e dopo altre vicissitudini, riuscì finalmente a ritornare a casa. Il conforto e l’affetto “dei suoi artisti” in tutto questo travaglio, non era mai venuto meno. Tale testimonianza e vicinanza costante lo sostennero molto anche emotivamente perché lo aiutarono a riprendere il suo lavoro.

Un gruppo di artisti alla Triveneta
del 1957 svoltasi in Salone.

Menotti Danesin alla mostra
del pittore Antonio Fasan
col critico Giuseppe Fiocco, 1969.
