SOGLIE
Biblos 2002
Fotografia
di Luccia Danesin
Perché queste immagini
di Luccia Danesin
Andavo a trovare i miei cari, a portare un fiore sulle loro tombe, a raccogliermi un momento per salutarli, ritrovarli dentro di me. Erano giornate nebbiose dell'autunno padovano, o giornate di sole splendente di primavera. Ed ecco l' "incontro": "vidi" per la prima volta - anche se conoscevo da lungo tempo quei gruppi di pietra - visi scolpiti, statue di marmo che ornavano cappelle di famiglia e che solo allora mi si rivelarono nella loro intensità.
Tornai munita della Nikon e presi a scattare quelle che ora sono diventate le fotografie di "Soglie".
"Soglie": un titolo d'ombra e luce perché queste immagini possono portarci, porci vicino, anche metaforicamente, al limitare di quel mistero. Fotografavo concentrata come se quelle figure fossero già dentro di me, come se da tempo in me lavorassero per conquistarsi uno spazio, un'espressione. Si inserivano in un percorso di riflessione che partiva da lontano, da un desiderio di chiarimento, di ricerca spirituale e poi di confronto con l' "Oltre". Con la parte di noi rappresentata dagli altri che abbiamo amato e che morendo hanno precluso il loro sguardo su di noi. Quell' assenza ci dà la misura dolorosa della forza che aveva quel legame e la consapevolezza di essere stati privati di tutto quanto avremmo potuto fare ed essere con loro. In chi resta, per superare il trauma, è necessario - è sempre stata una fortissima esigenza d'affetto dei sopravvissuti verso chi non c'è più - far rivivere quelle persone, testimoniando il fatto che sono state, rendendole tangibili. Magari con l'edificazione di una lapide, di un monumento, o con la scrittura di un'epigrafe. Il nostro ricordo diventa la loro immortalità.
Al sentimento del lutto, lo sappiamo, si possono collegare le origini delle religioni e anche la ricerca, l'aspirazione a una nostra trascendenza. Tutte le più grandi civiltà hanno prodotto il meglio dell'arte nella rappresentazione del lutto. E i monumenti funerari, nelle loro forme e iscrizioni, riflettono questi sentimenti della collettività. Mentre scattavo silenziosamente, muovendomi tra statue e bassorilievi funerari, riflettevo sul luogo dove mi trovavo: il cimitero. Luogo di riposo, morte come lungo sonno. Metafore per dire un distacco che non si vuole accettare, per dire una continuità che si ricerca. Uno spazio delimitato, immoto, staccato dal nostro "agire" quotidiano, che ci trasmette, con forza, una sua misura del tempo. Un'isola colma di presenze che hanno "sentito" e vissuto, tutte con le loro fragilità e il loro mondo di pensieri. (Da un punto di vista simbolico, si può dire che quando entriamo in un cimitero, esso ci si presenta visivamente come tutto il tempo passato ma, nel momento stesso in cui realizziamo il presente dentro di noi, il nostro "essere vivi", capiamo subito che quel luogo è il futuro di cui anche noi saremo parte). All'obiettivo della mia macchina fotografica si presentavano scorci di statue, immagini di pietra, drappeggi polverosi, mani intrecciate, sguardi avvolgenti, braccia tese. Particolari e frammenti che si caricavano di energia, di tensione, che silenziosamente mi catturavano e che cercavo di fermare sulla pellicola, di rendere eterni.
Là, di fronte a quell'immobilità reverente, rallentava il ritmo del pensiero, ritrovavo il mio tempo: ero in ascolto e non avevo timore delle domande. Così, la macchina fotografica ripeteva il miracolo di sempre, diventare "medium" privilegiato che supera lo sguardo, raccoglie i fotogrammi e così facendo trattiene il Tempo, la sua corsa, le memorie che porta con sé, il senso di caducità che trasmette a tutte le cose. Quello stesso Tempo che, tuttavia, esalta la preziosità dei doni che ci vengono dati, le pepite che ci lascia in alcuni fortunati momenti e incontri del nostro viaggio esistenziale. Temi che vedo essere costanti nelle mie fotografie e poesie. E oltre al tempo, c'è lo svelamento che opera la luce sull'oggetto e lo anima, conferendo spessore, dando visibilità - appunto - a uno sguardo in ombra, a un bacio appena accennato. Si crea, allora, con ciò che si fotografa, un'intima risonanza, "momenti di essere" (come ha scritto Virginia Woolf), spazio sacro dove ci si incontra, dove si intravede il senso inestimabile dell'esistere e si desidera - ancora e nonostante tutto - l'utopia solare dell'infanzia. Ma si crea anche una pausa che ci riporta al centro del nostro essere qui e ora, nell'intimo della riflessione sul significato di questo nostro andare. Il pensiero della morte - quest' ombra che ci accompagna e che, nondimeno, come l'ombra del corpo, ci restituisce l'immagine dei nostri contorni, del nostro profilo umano - ci costringe, quasi, a confrontarci con il "finito".
Dunque, prima di diventare un volume fotografico, "Soglie" è stato l'incontro intenso con figure, emozioni, pensieri, che spero di saper qui comunicare. Ho cercato di accostarmi a questi temi con dolcezza, affidandomi alla capacità rievocativa della fotografia e scegliendo di affiancare a qualche immagine solo alcuni, brevi, spunti poetici, anziché descrizioni o didascalie. Mi piacerebbe che le immagini di "Soglie" trasmettessero a chi le guarda un po' della forza silenziosa, dell'emozione profonda che io ho provato durante gli scatti fotografici. Vorrei che suggerissero, evocassero uno "spazio d'ascolto" per fare pace con la morte, questo tabù della nostra civiltà che teniamo nascosto, non nominiamo e tentiamo ossessivamente di esorcizzare.
INTRODUZIONE
di ENRICO GUSELLA
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INCONTRI
SOGLIE
30 Agosto 2002
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Conversazione incontro con Gabriella Imperatori e Anna Maria Zanetti
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